LA STORIA

TUTTO EBBE INIZIO NEL 1037

Uno degli indizi più antichi che ci portano a conoscere la storia del vigneto posto alle pendici del castello di Brescia è il Diploma dell’Imperatore Corrado II a Odorico, vescovo di Brescia, dato il 15 luglio 1037 nel quale questi concede all’autorità ecclesiastica un’ amplissima giurisdizione che annovera, tra le altre, la possessione del monte Denno (l’attuale monte Maddalena) allora saldamente attaccato al colle Cidneo.

L’esistenza di vigneti tra queste possessioni non è direttamente richiamata, d’altro canto, però, la vicinanza con il monastero regio di Santa Giulia lascia supporre che la zona coltivata a vite sulle pendici del Cidneo avesse qualche ragione nel monastero che risulta possessore di diversi appezzamenti, questa volta anche in città, dove risulta coltivata la vite. Indizi sulla presenza di vigneti sul monte Denno nel XIII secolo si hanno grazie alle inquisitiones del Comune del 1225 dove il territorio è per lo più boschivo ma con qualche presenza di terra vidata;

Un’efficace descrizione della coltivazione della vite in città è fornita in modo esaustivo da Archetti: “Anche le pendici verso mezzogiorno e verso mattina del colle Cidneo, cioè quelle meglio esposte ai raggi del sole, erano ricche di vigneti contrariamente alla comune iconografia che le ritrae in modo brullo e spoglio. Lungo le strade che salivano al castello vi erano file di vigne in stretti terrazzi o direttamente sul pendio, “apud viam” – precisa una inquisitio del 1251 – per la quale si andava a S. Pietro in Oliveto o ancora vicino alla porta Paganora e presso l’antica porta regia che conduceva alla chiesa di S. Stefano o a mattina della strada di accesso alla rocca.

In quel momento la zona posta a settentrione era ancora coperta di bosco, ma non appena il dirupo e le creste rocciose lasciavano il posto alla terra di coltura, subito si aprivano e si infittivano orti, campi chiusi e broli dove la vite aveva il sopravvento (“versus vites dicti clausi”, “per omnes ortos et per vineas”).

Ma era soprattutto spostandosi sui versanti orientale e meridionale che i filari di viti basse davano origine ad ampi vigneti protetti da siepi vive, prugnoli, alte mura e muraglie a secco che dovevano rappresentare uno spettacolo invidiabile. A mattina del castello poi veniva registrato un “clausum brohte de castro”, dove le viti erano allevate a pergola, sostenute cioè da pertiche (brothe) infisse nel terreno e da graticci appoggiati alle mura, e chiuse intorno da una siepe di recinzione”.

Un’immagine di questo stato di cose, a distanza di quasi due secoli, ci è restituita da un disegno acquerellato che mostra la città di Brescia con una porzione di territorio. La pergamena, conservata presso la Biblioteca Queriniana di Brescia fa parte del Libro dei privilegi concessi dalla città alle famiglie e al territorio di Brescia (BQBs H-V-5) ed è databile attorno al 1472. La città è raffigurata come racchiusa in un ideale triangolo di fortificazioni che hanno il loro culmine nel castello. L’unico elemento che non raffigura edifici o mura è proprio un ampio vigneto posto sulle pendici del castello. Questa raffigurazione, che non rispetta molto, l’esatta topografia della città, è l’unica che mostra l’esistenza di un vigneto urbano così esteso e si deve attendere la grande veduta di Brescia incisa da Domenico Carboni nel 1764 per ritrovarne traccia, appena dietro al castello.

E’ abbastanza complesso ricostruire la storia dei passaggi di proprietà di questo sito e il lavoro è in corso presso l’Archivio di Stato nella speranza di poter risalire il più indietro possibile recuperando nomi e figure che hanno fatto la storia di Brescia.

La storia recente è più facile da ricostruire grazie alla documentazione in possesso dell’attuale proprietà: nell’Ottocento i fratelli Riccardi avviavano un’azienda vinicolache otteneva riconoscimenti già alla Mostra Internazionale di Vienna del 18 agosto 1873 e la medaglia d’oro nell’Esposizione Bresciana del 1904. L’azienda passa poi per via ereditaria, alla famiglia Capretti: Mario nel 1940 depositava il marchio “Pusterla” a denominare i vini prodotti nei suoi vigneti. Con questa denominazione l’azienda veniva premiata con una medaglia d’oro e due di bronzo per i tre vini presentati nel Concorso Enologico dell’Italia Settentrionale del 1953 e nel 1966 otteneva un’altra medaglia d’oro al Concorso Enologico di Asti.

Tra gli estimatori del vino Pusterla in quegli anni si può annoverare anche il Primo Ministro inglese Winston Churchill. Nel 1973, per motivi di salute, Mario Capretti è costretto a chiudere l’azienda vitivinicola Pusterla ed a convertire ad uso civile la cantina, senza avere realizzato il sogno di poter aggiungere al suo vino il marchio DOC, di cui era stato il promotore. Negli anni seguenti la sua morte vengono via via venduti i terreni e le cascine del ronco Capretti, nel frattempo ancora coltivati a vigneto dai mezzadri lì residenti, e l’immobile ex-cantina.

Diversa sorte subisce il vigneto detto “fondo montagnelle” alle pendici del Cidneo. Coltivato a mezzadria dai tre fratelli Castrezzati, che, rilevando anche le uve della proprietà, vinificano il loro vino fino alla fine del 1990, il fondo è successivamente preso in gestione dall’ITAS Pastori che lo terrà fino a S.Martino del 1995. E’ in questo periodo che, col consenso degli eredi Capretti all’uso del nome e dello stemma di famiglia, torna il vino “Pusterla”. E’ anche la prima volta che viene tentata la produzione del passito d’invernenga.

Quando la scuola agraria rinuncia a proseguire nella coltivazione del vigneto, una nuova “azienda agricola Pusterla” (Pierluigi Villa, agronomo e Piero Bonomi, enologo) ne prende il posto agli inizi del 1996 e cambia impropriamente il nome del vigneto in “Ronco Capretti”. Nascono i vini Pusterla bianco IGT Ronchi di Brescia e Pusterla rosso IGT Ronchi di Brescia.
Nel 2007 l’associazione Slow Food attribuisce al vigneto Pusterla, il più grande vigneto urbano (quasi quattro ettari) produttivo d’Europa, il titolo di “Patrimonio Storico della Cultura Agroalimentare Ambientale”.

Dal novembre 2011, scaduto il contratto con l’azienda agricola Pusterla, Maria Capretti ha ripreso in mano la conduzione del fondo di famiglia, vigneto storico, caratterizzato sì da un’uva autoctona, ma anche da varietà antiche di alberi da frutto.

A luglio 2020 Emanuele Rabotti, patron della cantina Monte Rossa amplia i propri orizzonti fino al cuore della città siglando l’impegno verso il vigneto Pusterla, il più grande vigneto urbano d’Europa.

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